09 Apr #rassegnaagiconsul Tar Lazio: costituisce un’intesa restrittiva della concorrenza l’adozione, da parte degli ordini professionali, di previsioni contrarie alla disciplina vigente in materia di pubblicità per le professioni regolamentate
Con la sentenza n. 4943/2015 del 1° aprile 2015, il Tar Lazio si è pronunciato sul ricorso proposto dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri avverso la deliberazione con la quale l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha ritenuto la suddetta Federazione responsabile di un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 101 TFUE, con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa di Euro 831.816,00 e imposizione dell’obbligo di assumere misure atte a porre termine all’illecito riscontrato.
Il Tar ha annullato il provvedimento impugnato limitatamente alla quantificazione della sanzione (ridotta all’importo di € 415.908.00), mentre ha respinto le ulteriori doglianze.
Con il provvedimento impugnato, in particolare, l’AGCM ha ritenuto che la Federazione abbia adottato delle previsioni contrarie alla disciplina vigente in materia di pubblicità per le professioni regolamentate e idonee – attraverso la virtuale minaccia dell’applicazione delle sanzioni disciplinari collegate alla violazione delle norme deontologiche – ad alterare il normale funzionamento del meccanismo concorrenziale tra gli iscritti all’albo.
Sul punto, il Tar ha avallato l’analisi e le conclusioni dell’AGCM, osservando, tra l’altro, quanto segue:
«Viene in primo luogo in rilievo l’art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legge n. 223/0625, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, c.d. “riforma Bersani”, ha stabilito che “in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: … b) il divieto, anche parziale, di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni”. Al comma 3, poi, la disposizione ha previsto che, a garanzia dell’effettività della liberalizzazione introdotta, entro il 1° gennaio 2007 gli ordini e i collegi professionali dovessero adeguare la disciplina contenuta nei rispettivi codici deontologici in materia di pubblicità professionale con i principi introdotti dall’art. 2, comma 1, del citato D.L. n. 223/06.
L’art. 3, comma 3, del d.l. n. 138/11 , convertito nella legge n. 148 del 14 settembre 2011, ha poi stabilito che “la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie”.
Successivamente l’art 10 della legge n. 183/11 (legge di stabilità 2012), novellando l’art. 3 del D.L. n. 138/11, ha disposto che i principi ivi contenuti dovevano orientare il governo nell’opera di delegificazione degli ordinamenti professionali, fissando quale termine ultimo per il completamento della delegificazione il 13 agosto 2012.
Dall’entrata in vigore del regolamento governativo di delegificazione e in ogni caso, anche in assenza di tale regolamento, dal 13 agosto 2012 sarebbe intervenuta, ai sensi dell’art. 3, comma 5 bis, l’abrogazione delle “norme vigenti sugli ordinanti professionali in contrasto con i suddetti principi”.
Infine il D.P.R. 137 del 7 agosto 2012, attuativo della delegificazione disposta dalla legge n. 183/11, all’art. 4 prescrive: “E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145”.
Dalla ricostruzione del quadro normativo, arricchita nella delibera con richiami giurisprudenziali (Cassazione civile 15 gennaio 2007, n. 652, 9 marzo 2012, n. 3717 e 12 luglio 2012, n. 11816), emerge, a giudizio del collegio, che condivide sul punto le conclusioni rassegnate nei paragrafi da 75 a 99 del provvedimento, anche in tema di abrogazione della normativa previgente, la non conformità alla normativa vigente di previsioni che stabiliscano divieti di pubblicità, anche per attività professionali, ulteriori rispetto a quelli normativamente fissati.
I limiti normativamente previsti, a loro volta, sono sostanzialmente funzionali alla tutela del destinatario dell’informazione, cui deve essere rivolto un messaggio conforme a criteri di correttezza, veridicità e non ingannevolezza del messaggio utilizzato, e alla tutela dei concorrenti, limitatamente al divieto di utilizzo di informazioni aventi contenuto denigratorio».
Pertanto – conclude il Tar – sulla base delle norme primarie applicabili e dei principi comunitari vigenti in materia, sia la pubblicità promozionale che la pubblicità comparativa sono lecite, e non possono essere vietate, laddove prive di profili di ingannevolezza, equivocità e denigratorietà.
Inoltre – quanto alla ritenuta idoneità delle previsioni contenenti divieti di pubblicità, ulteriori rispetto a quelle normativamente ammesse, ad alterare il normale meccanismo concorrenziale – l’AGCM l’ha correttamente desunta dalla funzione stessa della diffusione dei messaggi pubblicitari e dalla previsione di sanzioni disciplinari per il caso di violazione delle prescrizioni deontologiche (nella fattispecie, il codice deontologico del 2006, in particolare, prevedeva divieti di pubblicità promozionale e comparativa, la violazione dei quali, come pure di qualunque comportamento comunque disdicevole al “decoro” della professione, era punibile dalle Commissioni disciplinari con le sanzioni previste dalla legge).